2022-08-14 10.21.02.jpeg

Studio Legale Avv. Gianfranco Briguglio

 

S T U D I O  L E G A L E  B R I G U G L I O

Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo.​

CONTATTI

SOCIAL

Avv. Gianfranco Briguglio

98122 Messina - Via Cesare Battisti, 48

00192 Roma - Via Attilio Regolo, 19

P. I.V.A. 03123480836

+39 090 9586445

gianfranco.briguglio@gmail.com


facebook
linkedin
whatsapp
telegram
instagram

Blog

Aggiornamenti dallo Studio e giurisprudenza

All Right Reserved 2022

NOTA A SENTENZA CASS. PEN. SEZ. I, SENT. 23/06/2023 N. 47799 (DEP. 30/11/2023)

25/04/2024 09:14

Dott. Tommaso Deliro

Giurisprudenza,

NOTA A SENTENZA CASS. PEN. SEZ. I, SENT. 23/06/2023 N. 47799 (DEP. 30/11/2023)

Nello scioglimento del cumulo il Giudice dell’Esecuzione deve applicare il cd. “criterio proporzionale” previsto dall’art. 78 c. 1 c.p.

 

 

 

In caso di cumulo materiale relativo a pene eterogenee, nel calcolo della pena il Giudice deve applicare il cd. “criterio proporzionale” del quintuplo previsto dall’art. 78 c. 1 c.p.

 

 

 

Abstract: In caso di cumulo materiale relativo a pene eterogenee, nel calcolo della pena il Giudice deve applicare il cd. “criterio proporzionale” del quintuplo previsto dall’art. 78 c. 1 c.p. con riferimento a ciascuna specie di pena, non potendosi comunque superare il cd. “criterio fisso” dei trent’anni di cui all’art. 78 c. 2 c.p. e dovendosi detrarre dall’eccedenza in ogni caso la pena dell’arresto ai sensi dell’art. 78 c. 2 ultimo periodo c.p.

 

TITOLO/MASSIMA: In sede di esecuzione penale, promossa per ottenere la riforma del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti ed eterogenee, nello scioglimento del cumulo il Giudice dell’Esecuzione deve applicare il cd. “criterio proporzionale” previsto dall’art. 78 c. 1 c.p. con riferimento a ciascuna specie di pena e, comunque, non può superare il cd. “criterio fisso” di cui all’art. 78 c. 2 c.p., dovendosi detrarre dall’eccedenza in ogni caso la pena dell’arresto ex art. 78 c. 2 ultimo periodo c.p.

Quando si devono infliggere più pene della reclusione e dell'arresto (evidentemente per il concorso di delitti e di contravvenzioni), il giudice procede al cumulo osservando dapprima il quintuplo della reclusione più grave e dell'arresto più grave "all'interno" di ciascuna delle due specie di pena (art. 78 c.p., comma 1) ma, in ogni caso, non può applicare una pena superiore ai trent'anni (art. 78 c.p., comma 2).” (Cass. Pen., sez. I, Sent. 23.06.2023 n. 47799, Motivi della decisione, §3).

            Con la Pronuncia in commento, la Suprema Corte di Cassazione ha inequivocabilmente delineato il percorso che il Giudice di merito (sia Esso quello dibattimentale ovvero quello dell’esecuzione penale) deve seguire nel cumulare pene di diversa specie.

            Infatti, muovendo da un’interpretazione costituzionalmente orientata al principio di uguaglianza degli artt. 74, 76 e 78 del Codice penale, gli Ermellini sanciscono il divieto di una cumulabilità indiscriminata e globale, aprendo la strada ai cumuli parziali.

            Il caso in esame nasce da un’incidente di esecuzione promosso da soggetto condannato a pene principali eterogenee (reclusione ed arresto) volto ad ottenere la riforma del provvedimento di esecuzione pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lamezia Terme ai fini dell’applicazione del criterio del quintuplo delineato dall’art. 78 c. 1 c.p.

            Il Tribunale di Lamezia Terme, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, rigettava l’istanza Difensiva, operando una rigorosa (ed illegittima) interpretazione letterale della norma, asserendo che l’unica norma applicabile a soggetti per i quali sono in concorso pene eterogenee fosse quella del criterio fisso, ovverosia il comma secondo dell’art. 78 c.p. a norma del quale “nel caso di concorso di reati preveduto dall’articolo 74, la durata delle pene da applicare a norma dell’articolo stesso non può superare gli anni trenta.

            Ad opinione opposta giungono i Giudici della Prima Sezione Penale del Palazzaccio. Il Supremo Collegio, muovendo dal presupposto che già in passato l’esegesi di legittimità aveva espresso il principio in base al quale “In presenza di reati commessi in tempi diversi e di periodi di carcerazione sofferti parimenti in tempi diversi, non può essere eseguito un cumulo unitario e globale, soggetto ai limiti dell'art. 78 c.p., ma vanno ordinati cronologicamente, da una parte i reati e dall'altra i periodi ininterrotti di carcerazione; indi si deve procedere ad operazioni successive, detraendo ogni periodo dal cumulo (parziale) delle pene per i reati commessi in precedenza, fino al cumulo definitivo, ed applicando il criterio di cui all'art. 78 citato, nell'ambito di ogni singolo cumulo parziale. Ne consegue che non è consentita una cumulabilità indiscriminata e globale, la quale comporterebbe inevitabilmente l'imputazione di periodi di carcerazione anteriori a pene irrogate per reati commessi successivamente, in palese violazione del principio secondo cui la pena non può precedere il reato e così incoraggiarne, anzichè frenarne, la reiterazione” (Cass. Pen., sez. I, Sent. 07.05.1992 n. 2020 – Badan, Rv. 192016 e ribadito in Cass. Pen., sez. I, Sent. 08.10.1992 n. 3923 – Tartaglia, Rv. 192443), chiarisce come l’art. 78 c.p. esplichi la propria efficacia nell’ambito e nei limiti di ciascuna operazione di cumulo, specie laddove il nuovo reato sia stato commesso durante l’espiazione del cumulo precedente, ovvero prima della sua totale espiazione.

            Ancora, essenziale risulta ad opinione del Collegio l’invocazione del principio del favor rei, in ragione del fatto che il cumulo delle pene – uno dei pochi istituti giuridici che “salvano” il nostro ordinamento dalla barbarie della mera somma algebrica delle pene inflitte al reo – è stato concepito quale beneficio per il reo e non vi è ragione per dissentire dal fatto che tale beneficio debba permanere non solo durante il calcolo della pena da parte del Giudice dibattimentale, ma financo durante tutta la fase “oscura” dell’Esecuzione Penale.

            Puntuali i richiami effettuati nella Pronuncia in commento alla costante applicazione giurisprudenziale del predetto principio – epicentro della finalità rieducativa voluta dai Costituenti – in tema di scindibilità del cumulo tra reati ostativi e reati non ostativi, ai fini dell’accesso ai benefici penitenziari (v., ex multis, Cass. Pen., sez. I, Sent. 12.06.1996 n. 4060 – Ghisu, Rv. 205613; Cass. Pen., sez. V, Sent. 20.09.2004, n. 40846 – Ara, Rv. 230122; Cass. Pen., sez. I, Sent. 18.03.2009, n. 15954 – Trubia, Rv. 243316), quali leitmotiv per i Giudici della cognizione dibattimentale ed esecutiva.

            La Prima Sezione Penale delle Corte di Cassazione aveva già avuto modo di pronunciarsi sul punto nel 1999, con la Sent. “Parisi”, n. 2529; Rv. 213354, allorquando asseriva che operando diversamente da tale percorso “si verrebbe a far dipendere l'applicazione di un trattamento deteriore dalla sola eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico in luogo di più rapporti scaturenti dall'esecuzione delle singole condanne, con l'ulteriore incongruenza che, nel caso di cumulo giuridico, questo, concepito soltanto per temperare l'asprezza del cumulo materiale, verrebbe a tradursi invece in un danno per l'interessato”.

            Posto che l’art. 74 c.p. al comma primo declina una regola generale del cumulo materiale, in aggiunta a quelle previste dall’art. 73 c. 1 e c. 3 c.p., in forza della quale, quando concorrono pene della reclusione e pene dell'arresto, il Giudice non può limitarsi a stabilire la pena per ciascun reato ma deve applicarle tutte, distintamente (ossia "una per una": e ciononostante dette pene si dovranno considerare, salvo eccezioni, ancora pena unica della specie più grave ex art. 76 c. 2 c.p.) e per intero, fatti salvi i limiti (proporzionale e fisso) di cui all’art. 78 c.p.

Ne deriva che – in ossequio al principio di uguaglianza tra soggetti condannati per reati della stessa specie e soggetti condannati per reati di specie diverse e dovendosi, diversamente, operare un necessario giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale – all’atto dell’inflizione di pene principali differenti (reclusione ed arresto), il Giudice deve procedere al cumulo osservando in primo luogo il quintuplo della reclusione più grave e quello dell’arresto più grave (criterio proporzionale ex art. 78 c. 1 c.p.), non potendo in ogni caso applicare una pena superiore ai trent’anni (criterio fisso ex art. 78 c. 2 c.p.). 

 

Ragionando diversamente, si perverrebbe a conclusioni assurde, che conforterebbero l'eccezione di legittimità costituzionale adombrata dal ricorrente, perché si consentirebbe al criterio proporzionale (del quintuplo) di operare nel caso di concorso di pene della stessa specie, il cui cumulo materiale sia superiore a quello derivante dal concorso di pene di specie diversa, al quale sarebbe riservata esclusivamente l'applicazione del criterio fisso di sbarramento, cosicchè, nonostante un minore carico sanzionatorio, la pena in concreto da espiare sarebbe, in siffatta ipotesi, maggiore, salvo il limite degli anni trenta” (Cass. Pen., sez. I, Sent. 23.06.2023 n. 47799, Motivi della decisione, §3).

Conseguentemente, laddove in applicazione del predetto principio di diritto derivi il superamento del limite di cui al comma secondo dell’art. 78 c.p. con la sola pena della reclusione, la pena dell’arresto (da eseguire comunque per ultima, in forza dell’art. 74 u.c. c.p.) dovrà ritenersi in essa assorbita (v., sul punto, Cass. Pen., sez. I, Sent. 26.02.1981, n. 341 – Sapia, Rv. 149148).

In definitiva, il precedente giurisprudenziale appena esaminato, consente di fissare dei punti cardine nell’ambito della materia inerente il cumulo delle pene,

In primo luogo, il faro guida di ciascun Giudicante deve essere il dettato Costituzionale e non già la “fredda ed arida” rigidità delle norme ordinarie, giacché solo un’interpretazione costituzionalmente orientata di queste ultime consente di esercitare appieno il mandato del Giudice: l’applicazione razionale della Legge ai singoli casi concreti, con le loro specificità e nel rispetto della dignità della Persona.

In secondo luogo – e da ultimo – non bisogna dimenticare che il favor rei è quel principio di civiltà giuridica che ci ricorda come i cd. “giudicati” altro non sono che Persone, deboli nel maggiore dei casi, che non necessitano di nulla dallo Stato-comunità e dallo Stato-istituzione se non di una mano tesa alla rieducazione ed al reinserimento sociale. Su questo dovremmo riflettere, tutti.

 

Dott. Tommaso Deliro