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Studio Legale Avv. Gianfranco Briguglio

 

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Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo.​

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Riflessioni a margine del Congresso Straordinario UCPI

08/10/2022 09:02

Avv. Gianfranco Briguglio

Vita da Avvocato,

Riflessioni a margine del Congresso Straordinario UCPI

Ho avuto il privilegio di partecipare ai lavori del Congresso Straordinario dell’Unione delle Camere Penali celebratosi a Pescara...

 

 

 

La Giustizia oltre il Populismo. Pescara, 30/09 - 02/10 2022.

 

 

 

Ho avuto il privilegio di partecipare ai lavori del Congresso Straordinario dell’Unione delle Camere Penali celebratosi a Pescara lo scorso fine settimana. È stata un’occasione, rara, per fermarmi ad ascoltare, ascoltare e riflettere.

 

Attualissimo, o forse imperituro, il tema prescelto: La Giustizia oltre il populismo. Scriveva, appena tre secoli fa, Gaetano Filangieri in Scienza della legislazione:

Vi è un tribunale che esiste in ciascheduna nazione; ch'è invisibile, perché non ha alcuno de' segni che potrebbero manifestarlo, ma che agisce di continuo, e che è più forte dei magistrati e delle leggi, de' ministri e de' re; che può essere pervertito dalle cattive leggi; corretto, diretto, reso giusto e virtuoso dalle buone; ma che non può né dalle une né dalle altre essere contrastato o dominato. Questo tribunale... è quello dell'opinione pubblica.

 

Non sono certamente all’altezza di valutare il pregio delle analisi, delle riflessioni, delle preoccupazioni dei più illuminati Penalisti Italiani in tempo di pessime riforme. Da osservatore, tuttavia, non mi sono sfuggite alcune sfumature sottili quanto taglienti; non mi sono sfuggite, e non mi hanno abbandonato, parole che ancora risuonano nel ricordo di un’esperienza indimenticabile.

 

Se, dunque, non ho i titoli per discettare della riforma Bonafede/Cartabia, né del futuro, certamente radioso, dell’Unione delle Camere Penali, temo di possedere appena le credenziali per sottolineare l’eco di alcuni interventi che hanno acceso un faro sulla via delle mie rudimentali competenze.

Ho avuto conferma, nel corso di questa tre giorni appassionante e condivisa con Colleghi straordinari, che quella dell’Avvocato non è una professione, non è un’arte, non è un mestiere. Non è nemmeno una missione. L’Avvocatura è una rara condizione di vita, dolorosa come una dipendenza, necessaria come una funzione vitale, alienante nel senso più etimologico del termine.

Questo ho pensato mentre ascoltavo l’Avv. Gustavo Pansini nel suo incedere a volte incerto, nell’incedere di quelli che hanno camminato tanto, forse quasi tutto, ustionati dal sole e gelati dalla neve. Le Sue parole mi hanno stordito: davanti a me quello che poteva essere un anziano nel pieno godimento del riposo esternava le proprie preoccupazioni. E dette preoccupazioni non riguardavano gli acciacchi, i timori di un tramonto incombente. Il pensiero era rivolto ai Diritti, alle Libertà, alle Garanzie, alle ossessioni, ai fantasmi del Penalista. Si è imbattuto in un passaggio doloroso: ci ha appellati in incipit “ex Colleghi” a causa delle condizioni di salute che “mi limitano nella mia libertà di pensiero”. Tre, quattro interminabili secondi di incertezza per raccogliere lo scettro: “Sono e resterò, fino all’ultimo minuto, un Avvocato”. Tre, quattro secondi per precipitare nel buio degli abissi, un istante, un fulmine per squarciare il cielo e tornare alla luce sorretto dal manto protettore della Toga.

 

Non dissimili sentimenti mi hanno pervaso all’ascolto dell’Avv. Gaetano Pecorella: la statura di chi può compiacersi di aver scritto pagine di storia del diritto, affranta dal cruccio di chi teme di non aver più le energie per compiere l’ultima missione, quella più importante. “La separazione delle carriere quindi è la battaglia che Noi del passato vi lasciamo, e vi auguriamo davvero, lasciandovi il testimone, che voi sarete in grado di riuscire laddove noi abbiamo sbagliato. È una battaglia che è decisiva per l’Avvocatura. Senza la separazione delle carriere, l’Avvocatura non avrà un futuro”. Da addetto ai lavori è impossibile non avvertire il peso drammatico di queste parole, che saranno d’ispirazione per ogni giorno, per ogni udienza, per ogni processo nel quale il banco del PM sarà ancora posto ad un’angolazione o altezza differenti da quello dell’Avvocatura.

 

Ove vi fosse bisogno di conferma, ho potuto constatare che c’è una ed una sola figura capace di accomunare tutti i Penalisti italiani in un unico stretto abbraccio: il boato che accoglie, in ogni occasione, l’arrivo dell’Avv. Armando Veneto è testimonianza non solo di solidarietà, ma anche e soprattutto di profonda riconoscenza. In questa occasione il Decano del Foro di Palmi non ha avuto necessità di parlare. Il Suo silenzio ha raccontato il desiderio e l’attesa del fragore della Giustizia, assopitasi per caso, sulla punta dello Stivale.

 

Ho ascoltato anche numerosissimi illuminati interventi di molti Colleghi, i quali hanno dato viva testimonianza dei principi condivisi nel quotidiano dell’aula. In particolare, tra gli splendidi contributi, avverto la necessità di ricordarne due, sufficienti essi soli a dimostrare che l’Avvocatura, ed i principi di Libertà che la sostengono, è lungi dall’essere in crisi. L’Avv. Roberto Le Pera del Foro di Cosenza ha tracciato i confini, allegorici ma non troppo, dell’aula bunker come casa distopica degli imputati pulviscoli confinati in "centri di raccolta temporanea di imputati e di Difensori denominati “aule bunker” così da conferirne l’immagine di una fortificazione militare all’interno della quale riuscirà molto difficile per il cittadino della cosiddetta società civile pensare che in nome del popolo Italiano si starà giudicando una persona presunta innocente; un processo “speciale” […] perché condotto da giudici in qualsiasi momento sostituibili ed interscambiabili senza limiti fino alla sentenza, la quale dunque diverrà un prodotto di fabbrica e non l’esito giudiziario di un’esperienza fondata sulla diretta conoscenza della prova".

 

L’Avv. Emilia Vera Giurato del Foro di Reggio Calabria ha fatto irruzione, con la sottile prepotenza del fioretto, nel tema, a tutti noi assai caro, degli uccisi per suicidio in carcere. Due a settimana dall’inizio dell’anno. "Il gesto estremo Rappresenta il termometro del grado di inciviltà che stiamo raggiungendo. […] Il silenzio che avvolge ciascuna di queste morti è assordante. Sono pochissime le voci che si levano dalla parte più sensibile della Magistratura. I più probabilmente temono che mettersi in lutto per una morte che in qualche modo mostra in trasparenza delle chiare responsabilità dello Stato possa essere letta come una sorta di autodelegittimazione del proprio operato. […] La politica trasversalmente tace. Questa politica che è così distante dalla società e dalla gente, trova con la società un unico triste punto di convergenza sotto lo slogan inascoltabile del “buttiamo la chiave”. […] Allora si sente solo la voce degli avvocati: soltanto Noi ci indigniamo, denunciamo quella che non è semplicemente una violazione di Diritti, ma credo che sia la manifesta intollerabile cancellazione dell’umanità delle persone non appena varcano la soglia di un carcere".

 

Non c’è riposo, non c’è vecchiaia, non c’è pace nella vita di un Avvocato, non c’è soddisfazione, non c’è l’empatia della “società civile”. Ci sono i fantasmi, le angosce e le tribolazioni, i dispositivi a tarda sera, le eccezioni rigettate, le istanze “viste” e non lette, la cancelleria-barricata, le udienze filtro, il filtro in Cassazione, la sezione filtro, il filtro in appello - perché, si sa, l’Avvocato è impuro come il catrame che tinge la toga - c’è il caffè bruciato, tipico di tutti i bar dei palazzi di giustizia, c’è il mitologico ufficio matricola, la “domandina”, il “detenuto in linea”, il modello IP1 che ci fa sentire ogni volta un pò più Avvocati, la chiamata delle tre di notte, la direttissima con il fascicolo che si è perso in procura, la convalida delle quarantasette ore e cinquantotto minuti, il “salite il detenuto” il “stiamo salendo il detenuto”, l’”Avvocato, quando sale al carcere?”, l’”Avvocato, quando scende al carcere”?, l’appello in scadenza, il ricorso in scadenza, il termine in scadenza, la scadenza, il “quando scade?”, c’è “il borsone pronto”, il “mi è arrivata una carta”, il “mi hanno chiamato i carabinieri, cosa vogliono?”, c’è da aggiornare l’agenda, da aggiornare il fine pena, la posizione giuridica aggiornata, il diritto di certificato, il diritto di copia, il diritto di cancelleria, il diritto forfetario, il diritto PagoPA, il diritto del cancelliere alla pausa caffè, il divieto di accesso all’aula, il divieto di accesso alle segreterie, il divieto di accesso al corridoio, il divieto di sosta, ma solo se l’auto non ha la sirena blu, la toilette riservata alla cancelleria, la fotocopiatrice riservata alla cancelleria, il provvedimento in riserva, da nove mesi, e se nasce una bambina poi la chiameremo Dike.

C’è tutto questo, incessantemente e ogni giorno. Lo sopportiamo con l’incazzatura e con il sorriso, in solitudine, in compagnia e con i fantasmi, quelli nostri e quelli altrui. Lo sopportiamo perché un giorno, per caso, per avventura e per destino, credendo di diventare professionisti, siamo invece diventati sacerdoti, consacrati a quella condizione dello spirito che conosciamo meglio di tutti gli altri. Quella condizione dello spirito che chiamano Libertà.

 

“Lunga vita…”