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Inutilizzabili le registrazioni eseguite dalla persona offesa su impulso della P.G.

06/06/2023 14:15

Dott.ssa Federica Mento

Giurisprudenza,

Inutilizzabili le registrazioni eseguite dalla persona offesa su impulso della P.G.

Illegittimo l’utilizzo di tali registrazioni a fini processuali, elusivo delle norme poste in materia di intercettazioni.

Cass. pen., II Sez. – 10/02/2023, n. 17343

In presenza di fonoregistrazioni effettuate dalla persona offesa al fine di formare una prova da far valere in giudizio si deve discernere la circostanza in cui la vittima abbia agito sua sponte nell’intercettare il colloquio con l’imputato dall’ipotesi in cui, viceversa, abbia agito su iniziativa della Polizia Giudiziaria e, per di più, sotto il diretto controllo di essa. In quest’ultimo caso, è da ritenersi illegittimo l’utilizzo di tali registrazioni a fini processuali, posto che, così facendo, verrebbero eluse le norme poste in materia di intercettazioni.

La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione presenta evidenti disomogeneità circa la possibilità di utilizzare in sede di istruttoria delle fonoregistrazioni o videoregistrazioni effettuate dai privati su impulso o con la collaborazione della Polizia Giudiziaria, mediante l’utilizzo di strumentazione messa a disposizione da parte di quest’ultima con la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio.

Secondo un primo orientamento, la registrazione di conversazioni effettuata da un privato su impulso della Polizia Giudiziaria non costituisce mera forma di documentazione del contenuto della conversazione, ma una vera e propria attività investigativa che comprime il diritto alla segretezza con finalità di accertamento processuale, la quale richiede un provvedimento dell’autorità giudiziaria ovvero un decreto motivato in forma scritta del Pubblico Ministero (Cass. pen., Sez. II, Sent. 19158 del 20/03/2015).

Un secondo orientamento, viceversa, ritiene che la registrazione fonografica di una conversazione telefonica effettuata da uno dei partecipi al colloquio costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, rispetto alla quale la trascrizione rappresenta, dunque, una mera trasposizione del contenuto del supporto magnetico contenente la registrazione (Cass. pen., Sez. V, Sent. n. 4287 del 29/09/2015).

Con l’obiettivo di fare chiarezza sul punto, sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con le Sentenze “Torcasio” (Sez. U., Sent. n. 36747 del 28/05/2003) e “Prisco” (Sez. U., Sent. n. 26795 del 28/03/2006) e la Corte Costituzionale con la Sentenza n. 390 del 2009.

Nella Sentenza “Torcasio”, le Sezioni Unite hanno escluso che possa ricondursi al concetto di intercettazione la registrazione di un colloquio ad opera di una persona che vi partecipi attivamente o che sia, comunque, ammessa ad assistervi. In questa ipotesi, difatti, difettano la terzietà del captante nonché la compromissione del diritto alla segretezza  della comunicazione, posto che il contenuto viene legittimamente appreso da chiunque vi partecipa o vi assiste. Una volta che tale comunicazione si è liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti ad essa estranei, essa entra a far parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l’effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio). La sentenza de qua, dunque, non qualifica la registrazione come intercettazione, ma come documento in ragione della sua attitudine a rappresentare. Inoltre, essendo uno degli interlocutori consapevole della registrazione non sarebbe ipotizzabile la violazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni, ma solo quello alla riservatezza, che ha una tutela attenuata rispetto al primo e prevede la disponibilità delle informazioni da parte di chi legittimamente le detiene.

Successivamente, con la Sentenza “Prisco”, le Sezioni Unite hanno sostenuto che soltanto nel caso in cui le fono- o videoregistrazioni vengano realizzate al di fuori del procedimento penale esse possano rientrare nella categoria dei documenti di cui all’art. 234 c.p.p. Viceversa, la registrazioni o riprese effettuate su impulso della P.G. sono da includersi nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 c.p.p. e, trattandosi di documentazione di attività investigativa non ripetibile, possono essere inserite nel fascicolo per il dibattimento.

Dirimente sul punto la Corte Costituzionale che, in modo lapidario, ha affermato che le norme sui documenti contenute nel c.p.p. si riferiscono esclusivamente ai documenti formati fuori (anche se non necessariamente prima) e comunque non in vista, né tantomeno in funzione, del procedimento nel quale si chiede o si dispone che facciano ingresso (Corte Cost., Sent. n. 320 del 2009; nello stesso senso, Cass. pen., Sez. II, Sent. n. 19158 del 2015).

Nonostante la risonanza avuta, queste pronunce giurisprudenziali non possono considerarsi risolutive dell’annosa questione circa l’effettiva utilizzabilità in giudizio, ai fini della decisione sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato, di registrazioni o riprese effettuate su impulso della P.G. mediante strumentazione da quest’ultima fornita. 

Recentemente, la Suprema Corte è tornata ad interrogarsi sulla legittimità di un simile modo di agire che non sia preceduto da alcuna autorizzazione – neppure telefonica – da parte del Pubblico Ministero, sottolineando, contrariamente a quanto finora sostenuto, un contegno illegittimo e, pertanto, tale da non poter avere riscontro in giudizio.

Quando la documentazione visiva o fonica viene eterodiretta dalla P.G. “il diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni viene inciso con una precisa finalità investigativa dato che i relativi contenuti sono destinati certamente ad entrare a far parte del compendio probatorio del procedimento in corso. Tale vocazione processuale della registrazione effettuata d’intesa con la polizia giudiziaria consente di inquadrare la relativa operazione come atto di indagine e non come documento; […] le registrazioni visive come anche quelle audio nella misura in cui non preesistono alla attività investigativa, ma costituiscono uno sviluppo della stessa comportano una compressione del diritto alla riservatezza e alla segretezza delle comunicazioni che richiede una tutela assonante seppur non coincidente con quella che presidia le intercettazioni” (Cass. pen., Sez. II, Sent. n. 19158 del 20/03/2015).

La Suprema Corte conferma, dunque, che “la registrazione di conversazioni effettuata da un privato su impulso della polizia giudiziaria non costituisce una forma di documentazione dei contenuti del dialogo, ma una vera e propria attività investigativa che comprime il diritto alla segretezza con finalità di accertamento processuale. Tale compressione del diritto alla segretezza delle comunicazioni ha una matrice pubblica resa evidente dal fatto che il contenuto della registrazione è destinato ad entrare nel compendio probatorio del procedimento in corso; la finalità investigativa della registrazione e la conseguente limitazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni impongono l’intervento di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, ovvero un decreto motivato del pubblico ministero. La finalità di garanzia del provvedimento autorizzatorio impone la forma scritta con conseguente ostensione e fruibilità processuale della motivazione: si tratta di una forma di garanzia che non si ritiene soddisfatta attraverso la mera autorizzazione orale” (Cass. pen., Sez. II, Sent. n. 19158 del 20/03/2015).

Nello stesso senso si pone anche la Sentenza n. 17343 del 10/02/2023, con la quale la II Sezione della Suprema Corte di Cassazione sembra condividere, correttamente, proprio l’orientamento da ultimo precisato. 

Il motivo sollevato dal ricorrente concerneva la violazione di legge e il vizio di motivazione per avere la Corte d’Appello di Messina utilizzato, a riscontro delle dichiarazioni della vittima, una intercettazione ambientale fuori dai casi consentiti dalla legge, avendo la polizia giudiziaria fornito alla persona offesa una microspia con la quale registrare la conversazione tra costei e il soggetto condannato, avvenuta sotto il diretto controllo delle forze dell’ordine. La Suprema Corte rispondeva che, alla luce delle incertezze ricostruttive della vicenda in esame, “sarebbe stato necessario accertare la legittima utilizzabilità della intercettazione ambientale alla quale ha fatto riferimento la sentenza impugnata come confermativa delle dichiarazioni della persona offesa. La questione formale era stata posta con il secondo motivo d’appello ma la Corte territoriale non ha fornito risposta alcuna, lasciando incerta la circostanza che la vittima avesse agito sua sponte nell’intercettare il colloquio con A., ovvero su iniziativa della polizia giudiziaria e, quel che più conta, sotto il diretto controllo di essa” (Cass. pen., Sez. II, Sent. n. 17343/2023 – 10/02/2023).

Sottolineando la necessità di accertare, nella fase di merito, la legittima utilizzabilità della registrazione (definita intercettazione ambientale dalla medesima Corte) effettuata direttamente dalla persona offesa su impulso della P.G. mediante microspia da quest’ultima fornita, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato, a contrario, che non sempre sono utilizzabili le fonoregistrazioni effettuate dai privati: pertanto, di volta in volta è necessario discernere tra l’ipotesi in cui il singolo abbia agito spontaneamente e quella in cui, viceversa, ha agito spinto dalle forze di P.G., ritenendosi in quest’ultimo caso illegittimo l’utilizzo di tali registrazioni a fini processuali, posto che, così facendo, verrebbero eluse le norme poste in materia di intercettazioni.

Nota a Sentenza a cura della Dott.ssa Federica Mento.