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Studio Legale Avv. Gianfranco Briguglio

 

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Il “copia-incolla” del Giudice: finta motivazione e nullità della Sentenza.

12/09/2022 18:17

Avv. Gianfranco Briguglio

Giurisprudenza,

Il “copia-incolla” del Giudice: finta motivazione e nullità della Sentenza.

La Sentenza in esame affronta, con prosa tagliente e perentoria, un tema quanto mai attuale: la c.d. motivazione per relationem...

 

 

 

“La finta motivazione si risolve nella abdicazione del giudice al suo dovere principale, è la negazione della sua funzione di garanzia, connaturale alla sua indispensabile terzietà”. Cassazione Penale, Sezione III n. 19633 del 08/02/2022.

 

 

 

 

La Sentenza in esame affronta, con prosa tagliente e perentoria, un tema quanto mai attuale: la c.d. motivazione per relationem e lo spregiudicato ricorso al “copia incolla” ad opera del giudice.

 

Con sentenza del 19/03/2021 la Corte d’Appello di Milano riformava parzialmente il decisum del Tribunale Meneghino. Il Collegio tuttavia argomentava facendo riferimento, anche letterale, ad ampli stralci della Sentenza di primo grado, nonché dei provvedimenti assunti in ambito cautelare.

 

Impugnavano la Sentenza d’Appello sia le Difese degli imputati che il Procuratore Generale, quest’ultimo non sottacendo caustiche censure all’operato della Corte territoriale. Proprio la Procura Generale infatti si doleva della violazione di norme di rango costituzionale, prime tra tutte quelle di cui all’art. 111 Cost.

Con severe argomentazioni si rilevava: il provvedimento impugnato consiste di ventidue pagine delle quali, escluse quelle dedicate all’intestazione, alla descrizione dell’imputazione, allo svolgimento del processo, alla determinazione della pena e alla pena, solo quindici si riducono alla spiegazione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione assunta di cui undici sono frutto di un vero e proprio “copia-incolla” delle motivazioni, alla lettera, della sentenza di primo grado e dell’ordinanza della custodia cautelare […] a sua volta frutto del “copia-incolla” del provvedimento di fermo […]. Le altre quattro pagine sono dense di luoghi comuni e frasi fatte adattabili a qualunque fattispecie. Non dissimili argomentazioni erano svolte dai Difensori degli imputati.

 

La Suprema Corte, con la Sentenza in commento, non solo dimostra di condividere i temi dei ricorrenti, ma ne esacerba ulteriormente la portata censurando senza mezze misure, e con riferimento ad ulteriori principi di rango costituzionale, la Sentenza del Collegio di merito. Romanticamente, e con un piglio purtroppo infrequente, individua quindi quei valori che qualificano, sul piano processuale, il “quomodo” della giurisdizione, così rubricandoli: Soggezione dei giudici soltanto alla legge (Art. 101 comma secondo Cost), esercizio della funzione giurisdizionale da parte di magistrati autonomi e indipendenti (artt. 102, 104 e 106 Cost.), attuazione della giurisdizione mediante il giusto processo regolato per legge (art. 111 comma primo Cost.), controllo esercitabile dalla Corte di Cassazione su tutte le sentenze e su tutti i provvedimenti che incidono sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali (art. 111 comma settimo Cost.). Detti principi sono posti, nel narrato degli Ermellini, a presidio e garanzia del principio di legalità e di altri diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.

 

Conclude quindi la Corte di Legittimità con un monito: la finta motivazione si risolve nella abdicazione del giudice al suo dovere principale, è la negazione della sua funzione di garanzia, connaturale alla sua indispensabile terzietà, è una porta chiusa frapposta a ogni tipo di controllo, che non consente di ripercorrere la via che collega la regola astratta al fatto esaminato.

 

La Sentenza ripercorre poi sinteticamente i limiti del potere di motivare per relationem, riportandosi a quanto statuito dalle Sezioni Unite (Sent. 17/2000 Primavera). Esso è ammesso solo qualora sia utile per la ricostruzione del fatto e quando faccia riferimento ad un legittimo atto del procedimento congruamente motivato, purché resti sempre, inequivocabilmente e chiaramente valutabile il percorso logico-argomentativo del giudice dell’impugnazione, il quale deve dimostrare senza margini di incertezza di aver attinto aliunde, ed in maniera assolutamente autonoma, gli argomenti a sostegno della propria decisione.

 

In difetto delle superiori circostanze sarebbe pertanto pregiudicato l’effetto devolutivo del gravame, che si tradurrebbe, nella migliore delle ipotesi, nella mera verifica dell’iter argomentativo fatto proprio dall’estensore del provvedimento gravato.

 

La Sentenza si contraddistingue per un ulteriore tema di cardinale rilevanza: i motivi di ricorso introdotti dalla Procura Generale hanno infatti altresì sollecitato il giudizio di legittimità in ordine alla dedotta violazione dell’art.498 comma I c.p.p. essendosi il tribunale sostanzialmente sostituito al (e confuso con il) PM (onorario) di udienza nel condurre l’esame. La questione, pur non essendo oggetto di esame dalla Suprema Corte, la quale ha giudicato assorbente altro motivo di ricorso, impone una riflessione sul costume che vede il giudicante ingerire nel corso dell’esame dibattimentale, spesso sostituendosi alle parti o interferendo con la serena conduzione dell’adempimento istruttorio. Non vi è chi non veda che nessuna tutela sul punto potrà essere offerta in sede dibattimentale, provenendo la violazione proprio dal soggetto deputato al controllo sulla regolarità delle attività dibattimentali.

Sul punto si rinviene un solo precedente recente (Cassazione penale , sez. III , 09/10/2014 , n. 45931), in ossequio al quale L'assunzione della prova testimoniale direttamente a cura del presidente o del giudice, pur non essendo conforme alle regole che ne disciplinano l'acquisizione, non dà luogo a nullità, non essendo riconducibile alle previsioni di cui all'art. 178 c.p.p., né ad inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte. La vivace contestazione dell’Ufficio di Procura in seno al proprio ricorso, e la netta posizione assunta dal medesimo sul punto, alimenta l’auspicio di un prossimo intervento in sede di legittimità volto a contenere e limitare il potere del giudicante all’accesso, nel corso dell’esame dibattimentale, a modalità diverse da quelle prescritte dalla Legge, difficilmente conciliabili con i principi, anche di natura costituzionale, attentamente esaminati e rassegnati dalla Suprema Corte nelle motivazioni della Sentenza in esame.